L’affermazione che l’Italia sia a riparo da attacchi terroristici per la presenza della mafie è una grossa bufala.
Quello che emerge dalle indagini in realtà è una convergenza di interessi tra la criminalità organizzata italiana e terrorismo internazionale, ma non un rapporto diretto.
Wikileaks nel 2010 pubblicò i cablogrammi del dipartimento di Stato Americano nel quale veniva evidenziato che gli affari delle mafie italiane in Colombia e Afghanistan (traffico droga) portavano liquidità a gruppi terroristici che in quei posti lo gestivano (Leggi l’articolo di Miguel Mora (El Pais) in italiano) .
Altri punti di convergenza sono stati riscontrati nel traffico di armi e quello di esseri umani. Questo non vuol dire che la criminalità organizzata italiana collabora con l’Isis né tantomeno che, l’Italia possa essere immune da eventuali attentati terroristici anzi, secondo Alessandro Orsini, direttore dell’Osservatorio sulla Sicurezza internazionale della LUISS i tempi per un attentato in Italia sono maturi.
L’analisi di Orsini ( di cui di seguito riportiamo l’articolo) divide in tre le fasi del terrorismo dell’Isis in Europa:
In una prima fase l’Isis invitava i propri simpatizzanti a recarsi in Siria per edificare lo Stao Islamico. Il Califfo al Baghdadi riteneva che condurre attentati in Europa fosse una perdita di tempo e uno spreco di risorse: “Partite!”. Incitava quindi gli aspiranti jihadisti a lasciare l’Europa per arruolarli nei suoi domini.
La seconda fase invece viene ritenuta di svolta. Lo Stato Islamico, a causa della quantità enorme di bombardamenti aerei subiti dalla coalizione americana, ha iniziato a pianificare attentati contro i Paesi impegnati nei raid aerei, come Francia e Belgio, affinché i cittadini di quei Paesi chiedessero ai loro governi di porre fine all’intervento militare in Siria. In questa seconda fase, l’Italia era al sicuro perché non ha mai sparato un solo proiettile contro l’Isis. Occorre, infatti, sapere che l’Isis ha un interesse a non realizzare attentati contro i Paesi da cui non è colpito per indurre i Paesi che lo colpiscono a interrompere gli attacchi.
La terza fase è caratterizzata dalla fine di ogni criterio selettivo. Siccome l’Isis è stato ridotto a brandelli nei suoi domini, ha poche risorse per pianificare attentati contro le città europee. La conseguenza è che i capi dell’Isis lasciano che i propri militanti colpiscano ovunque possano. Dal momento che la cultura jihadista è basata sul principio della vendetta, la formula che riassume la terza fase del terrorismo dell’Isis in Europa è: “Che tutti muoiano con noi!”. Ciò è dimostrato, oltre che dagli attentati a Barcellona e a Cambrils – la Spagna non ha mai bombardato l’Isis – anche dall’attentato in Finlandia, in cui un marocchino di 18 anni, richiedente asilo, ha ucciso due persone a colpi di coltello nel centro di Turku. Una volta colpita la Finlandia, che ha visto partire soltanto 30 foreign fighters per la Siria, non ci sono dubbi sul fato che anche l’Italia potrebbe subire un attentato terroristico. Tuttavia, difficilmente sarebbe un attentato in grande stile, come quello di Parigi del 13 novembre 2015. Più probabilmente, sarebbe un attentato cosiddetto “minore”. Lo Stato Islamico, inteso come organizzazione protostatuale con capitale a Raqqa, che peraltro sta crollando, non ha un interesse a investire denaro e risorse per colpire l’Italia. Dovendo scegliere, preferisce investire contro Parigi. Nella gerarchia dell’odio jihadista, Parigi, che ha bombardato massicciamente l’Isis, viene prima di Roma, che non ha mai bombardato.
Dunque, nella fase morente dell’Isis, è tempo, per gli italiani, di prepararsi, politicamente e psicologicamente, ad affrontare un attentato terroristico.
Fonti:
https://securityintelligence.com/
https://elpais.com/
http://sicurezzainternazionale.luiss.it/
Livia Napolitano
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